Sentenze commentateLA SOSPENSIONE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ DI “TRADER” DI PRODOTTI PETROLIFERI NON RICHIEDE CHE LE CONTESTATE VIOLAZIONI FISCALI SIANO “DEFINITIVAMENTE ACCERTATE” (SENTENZA CONSIGLIO DI STATO, SEZ. 7, 28/12/2022, N. 11521) – Circolare N.6 2023

22/05/2023

Si segnala che sul sito “giustizia-amministrativa.it” è reperibile la pronuncia in oggetto indicata, la quale, confermando la sentenza resa in primo grado dal TAR Veneto, ha giudicato legittimo un provvedimento con cui ADM ha sospeso, ad un operatore del settore petrolifero, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di “Trader”, ovverosia di commercializzazione di prodotti energetici avvalendosi di depositi di terzi (depositi fiscali di cui all’art. 23 del T.U.A. o depositi commerciali gestiti dai destinatari registrati di cui all’art. 8 del medesimo T.U.A.).

Come noto, per tale figura professionale, l’art. 1, commi da 945 a 959, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di bilancio 2018) ha previsto un particolare regime abilitativo, delineando specifici requisiti soggettivi che devono essere posseduti dai richiedenti l’autorizzazione nonché specifiche situazioni di sospensione/revoca dell’autorizzazione stessa.

In particolare, ai sensi del comma 949 “L’autorizzazione è sempre sospesa dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, anche su segnalazione dell’Agenzia delle entrate, qualora il soggetto autorizzato di cui al comma 945 sia incorso in violazioni gravi degli obblighi stabiliti in materia di IVA”.

Nel caso controverso è accaduto che fossero state contestate a carico della Società ricorrente, esercente appunto l’attività di “Trader”, plurime e gravi violazioni degli obblighi stabiliti dalla normativa IVA, sfociate anche in un procedimento penale, sicché l’Agenzia aveva proceduto alla sospensione dell’autorizzazione ai sensi del comma 949 suddetto.

Secondo la teoria difensiva della Società, il provvedimento sospensivo sarebbe risultato illegittimo in quanto il ridetto comma 949 postulerebbe la definitività dell’accertamento tributario, situazione che non si sarebbe invece verificata nel caso di specie, nel quale la Società aveva anzi successivamente addirittura fruito dell’istituto dell’adesione.

Inoltre, la Società ricorrente aveva sostenuto difettare pure il requisito della “gravità” delle violazioni accertate, così come aveva negato la propria colpevolezza, in quanto vi sarebbe stata una situazione di obiettive condizioni di incertezza circa il regime applicabile alle operazioni di vendita dei prodotti petroliferi, che l’avrebbe indotta a ritenere non applicabile l’IVA ai prodotti di sua proprietà, già soggetti ad accisa al momento dell’estrazione dal deposito fiscale.

Tuttavia, il Consiglio di Stato, con la sentenza in oggetto, ritenendo infondate le censure sollevate dalla Società, afferma che “Diversamente da quanto si suppone nell’appello, la norma [comma 949 – ndr] non richiede che le violazioni siano definitivamente accertate, in relazione al quale presupposto non si riscontra alcun riferimento. All’argomento di carattere testuale si aggiunge quello di ordine logico: sarebbe evidentemente pregiudizievole per l’interesse fiscale di cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è portatrice che questa dovesse attendere che l’accertamento di violazioni tributarie divenga definitivo, ovvero non più soggetto ad impugnazioni da parte del contribuente di cui è emersa l’infedeltà, che nelle more potrebbe quindi continuare a svolgere l’attività in precedenza autorizzata, con il rischio di aggravare la situazione e nello specifico di aumentare le somme sottratte ad imposizione”.

Inoltre – continua il Collegio – “L’art. 1, comma 949, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha … previsto una sospensione obbligatoria, a mente della quale l’autorizzazione «è sempre sospesa» nei casi di «violazioni gravi degli obblighi stabiliti in materia di IVA» … e come tale non richiede pertanto che le violazioni siano definitivamente accertate”.

Quanto alla presunta assenza di “gravità” delle violazioni IVA in concreto accertate, il Consiglio di Stato osserva: “La gravità è in particolare insita nell’infedele rappresentazione contabile fornita all’amministrazione finanziaria per effetto dell’omessa comunicazione delle note di credito, che risulta evidentemente incompatibile con l’ipotesi della buona fede adombrata nell’appello, e nel conseguente elevato ammontare del tributo evaso. Irrilevante è, per contro, ai fini della sospensione della licenza, il fatto che la società abbia prestato adesione al verbale i cui contenuti sono stati in precedenza richiamati, posto che per un verso si conferma con essa l’attendibilità degli accertamenti; e per altro verso si rafforza la funzione del provvedimento di sospensione qui impugnato di indurre il contribuente infedele a regolarizzare la propria posizione, come nel caso di specie sta avvenendo, secondo quanto riferito in appello, ed evitare quindi ulteriori pregiudizi per l’Erario. La resipiscenza manifestata a posteriori non elide tuttavia la gravità del precedente comportamento accertato e compendiato nel processo verbale di constatazione sulla cui base è stato emesso il provvedimento di sospensione della licenza fiscale”.

Per leggere la sentenza in oggetto clicca qui.

Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento. (contatti)