INDAGINI OLAF – RILEVANZA PROBATORIA – DISCONOSCIMENTO ORIGINE PREFERENZIALE ANCHE IN PRESENZA DI CERTIFICATO FORMALMENTE REGOLARE – CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA N. 20551/2024 DD. 24/07/2024
Si segnala la pronuncia in epigrafe indicata, con la quale la Suprema Corte di Cassazione ritorna ad affrontare la questione della rilevanza probatoria della relazione finale nonché della documentazione acquisita dall’OLAF (Ufficio europeo per la Lotta Antifrode) nel corso delle proprie indagini.
In particolare, la Corte osserva che gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF, ai sensi del Regolamento Consiglio CEE 23 maggio 1999, n. 1073, “per la loro formazione ed il valore di atti pubblici ad essi attribuibile, ben possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento per il recupero dei dazi doganali sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo” (ex plurimis, Cass. civ., Sez. V, 8 marzo 2013, n. 5892; Cass. civ., Sez. V, 6 luglio 2016, n. 13770; Cass., Sez. V, 21 aprile 2017, n. 10118; Cass. civ., Sez. V, 11 maggio 2018, n. 11441).
In tal senso, l’art. 9, comma 2, del Regolamento (CEE) n. 1073 del 1999 “attribuisce piena rilevanza probatoria alla relazione finale redatta dall’OLAF all’esito delle indagini antifrode, considerandola espressamente «equipollente» alle relazioni amministrative redatte dagli ispettori dello Stato membro, tanto ai fini delle «regole di valutazione» applicabili, quanto ai fini del «valore» probatorio da attribuire in base alla disciplina legislativa dello Stato membro”; tale norma, inoltre – osserva la Corte – “non pone alcun limite all’utilizzabilità, nei procedimenti amministrativi e giudiziari di tale Stato, delle altre fonti di prova acquisite dall’ OLAF nel corso delle indagini, come si evince dall’art. 9, comma 3, e dall’art. 10, comma 1, del medesimo Regolamento, i quali prevedono, rispettivamente, la trasmissione alle autorità degli Stati membri interessati di “ogni documento utile” acquisito e la comunicazione di “qualsiasi informazione” ottenuta nel corso delle indagini (Sez. 5, Sentenza n. 2139 del 30/01/2020; v. anche Cass., Sez. V, 27 luglio 2012, n. 13496)”.
Ne consegue – quanto alla vicenda oggetto della pronuncia in commento (decadenza da un regime agevolativo daziario per disconoscimento dell’origine preferenziale della merce) – che l’adozione delle misure recuperatorie dei dazi all’importazione “è legittimata anche solo in base alle risultanze delle indagini effettuate dagli organi ispettivi comunitari”, non essendo subordinata all’annullamento o alla revoca del «certificato di origine delle merci (FORM-A, o EUR-1)» da parte delle autorità del Paese emittente: id est, l’efficacia probatoria del certificato può essere disconosciuta anche in difetto di un procedimento giudiziario volto ad accertarne la falsità ideologica.
Costituisce, infatti, orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «certificato di origine delle merci (FORM-A, o EUR-1)», emesso dalle autorità del Paese di esportazione, previsto dall’art. 26 del Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 e dagli artt. 80 e ss. Del Regolamento CEE 2 luglio 1993, n. 2454, costituisce titolo di legittimazione esclusivo per esercitare il diritto di fruizione dello specifico regime doganale previsto in relazione all’origine del prodotto (“condicio sine qua non“), ma non ha efficacia di “prova legale assoluta” (“iuris et de iure“) della effettiva origine della merce importata dal Paese terzo che ha emesso il certificato, “attesa, da un lato, l’assenza di obblighi di controllo in capo al Paese terzo e, dall’altro, la possibilità, per il Paese importatore, in presenza di ragionevoli dubbi, di contestare l’effettiva origine del prodotto importato e rifiutare, indipendentemente dalla regolarità formale del certificato, l’applicazione dello specifico regime doganale” (ex multis, Cass. civ. Sez V 30 ottobre 2013, n. 24439; Cass. civ., Sez V, 15 marzo 2013, n. 6637; Cass. civ., Sez V, 3 agosto 2012, n. 14032).
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