ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 6, COMMI 1, LETTERA C), E 2, DEL DECRETO-LEGGE 28 NOVEMBRE 1988, N. 511, CONVERTITO, CON MODIFICAZIONI, NELLA LEGGE 27 GENNAIO 1989, N. 20 COME SOSTITUITO DALL’ART. 5, COMMA 1, DEL DECRETO LEGISLATIVO 02/02/2007, N. 26 – CORTE COSTITUZIONALE SENT. N. 43/2025 DEL 15/04/2025
Si segnala la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Consulta è intervenuta, con propria pronuncia di incostituzionalità, nel vasto contenzioso seriale concernente l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica ex art. 6 del D.L. n. 511/1988, addizionale che il soggetto grossista/venditore di energia elettrica (obbligato d’imposta ex art. 53, comma 1, lett a del D.Lgs.n.504/1995, d’ora innanzi TUA) era tenuto a versare all’Erario (Agenzia Dogane o Enti locali, a seconda dei casi), con diritto di rivalsa – nelle fatture di vendita – sull’acquirente/consumatore finale.
Ed invero, la Direttiva 2008/118/CE dd.16 dicembre 2008 del Consiglio, relativa al regime generale delle accise, dava la facoltà agli Stati membri di “applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni” (art. 1, comma 2).
Esercitata tale facoltà, lo Stato italiano ha successivamente provveduto all’abrogazione dell’addizionale stessa – con decorrenza dal 1° gennaio 2012 nelle Regioni a statuto ordinario e dal 1° aprile 2012 nelle Regioni a statuto speciale – per opera dell’art. 4, comma 10 del D.L. 2 marzo 2012 n.16, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 2012, n. 44.
Peraltro, per il periodo in cui l’addizionale ha trovato applicazione, la Suprema Corte di Cassazione, con alcune pronunce rese a partire dal 2019 (ex multis, sentenze n. 15198, n. 27101, n. 27306 e n.28047 del 2019), ha dichiarato doversi disapplicare l’art. 6 suddetto, per contrasto con l’art.1, paragrafo 2, della Direttiva 2008/118/CE, non essendo state concretamente previste, nella norma nazionale de qua, le necessarie “finalità specifiche” legittimanti l’istituzione del prelievo in questione.
A seguito di tali pronunce di legittimità, è insorto il ricordato contenzioso seriale, volto al riconoscimento del rimborso dell’addizionale indebitamente versata, promosso in sede civilistica (indebito civilistico) dai consumatori finali nei confronti dei propri fornitori di energia elettrica (fornitori/obbligati d’imposta, i quali avevano traslato in fattura l’onere corrispondente all’imposta addizionale risultata contraria alla Direttiva 2008/118/CE).
Con recente Sentenza 11/04/2024 – causa C-316/22, già oggetto di nostro precedente commento, la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che il meccanismo previsto – per il rimborso dell’addizionale indebitamente corrisposta – dall’art. 14, comma 4 TUA “viola il principio di effettività, in quanto non permette ad un consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare che egli ha sopportato a causa della ripercussione, operata da un fornitore sulla base di una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che detto fornitore ha lui stesso indebitamente versato al suddetto Stato membro”.
Come noto, invero, secondo l’art. 14, comma 3 TUA, solo i fornitori/obbligati d’imposta (soggetti passivi del rapporto tributario) hanno azione diretta di rimborso (tributario) nei confronti dell’Erario (soggetto attivo del rapporto tributario), da esercitarsi entro il termine decadenziale biennale da tale norma previsto; viceversa, i consumatori finali, per ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato ai propri fornitori (onere economico corrispondente all’addizionale) debbono rivolgersi esclusivamente a questi ultimi, esperendo azione civilistica di risarcimento dell’indebito, nel termine di prescrizione decennale previsto dal codice civile.
Solo qualora i consumatori finali risultino vittoriosi nei giudizi civili esperiti contro i propri fornitori, questi ultimi sono legittimati – a mente dell’art. 14, comma 4 TUA suddetto – a chiedere all’Erario, una volta eseguita la sentenza di condanna resa dal giudice civile, il rimborso di quanto essi stessi siano stati condannati a rifondere ai propri clienti/consumatori finali, nel termine perentorio di 90 giorni dal passaggio in giudicato della pronuncia resa nei suddetti giudizi civili tra consumatori finali e fornitori di energia elettrica.
Tale meccanismo normativo è stato, appunto, censurato dalla Corte di Giustizia e, in conseguenza della sentenza 11/04/2024 – causa C-316/22, anche la Suprema Corte di Cassazione italiana ha da inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale (tra le altre, Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 29 luglio 2024, n. 21154) che ammette l’azione di ripetizione di indebito direttamente da parte del cliente/consumatore finale nei confronti dello Stato.
Prima di tale apertura, tuttavia, proprio perché il consumatore finale risultava legittimato all’esercizio dell’azione di ripetizione esclusivamente nei confronti del proprio fornitore (salvi casi eccezionali – quali, ad esempio, il fallimento del fornitore – in cui l’azione si rivelasse oltremodo gravosa), il giudice ordinario chiamato a decidere della controversia promossa dal consumatore finale contro il proprio fornitore non poteva – secondo la giurisprudenza prevalente – disapplicare la Direttiva 2008/118/CE, essendo il rapporto controverso di natura “orizzontale” (intercorrente, cioè, tra soggetti privati): invero, ai sensi dell’articolo 288, terzo comma TFUE, il carattere vincolante di una direttiva, sul quale si fonda la possibilità di invocare quest’ultima, sussiste solo nei confronti dello «Stato membro cui è rivolta» e, quindi, una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo ad un singolo e non può essere invocata, in quanto tale, nei confronti di quest’ultimo dinanzi a un giudice nazionale.
Ed in effetti, le ricordate pronunce con cui la Corte di Cassazione, a partire dal 2019 (ex multis, n.27101del 2019), aveva dichiarato doversi disapplicare l’art. 6 del D.L. 511/1988, erano state rese in controversie che vedevano contrapposti l’utente finale e lo Stato, in cui cioè venivano in rilievo effetti diretti verticali della Direttiva, non già orizzontali.
Proprio a motivo di siffatta preclusione alla disapplicazione della disposizione nazionale contraria alla Direttiva 2008/118/CE in controversia orizzontale, si è posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 D.L. 511/1988 risolta con la sentenza in commento.
Segnatamente, il giudice remittente, ha ritenuto che, dovendo risolvere una lite tra privati e non potendo disapplicare la disposizione nazionale contraria alla Direttiva 2008/118/CE, non sarebbe «manifestamente infondato il dubbio circa il contrasto della disposizione nazionale in tema di addizionale con l’art. 117, comma primo, Cost. sotto il profilo del mancato rispetto dei vincoli gravanti sulla potestà legislativa statale e derivanti dall’ordinamento U.E.».
La Consulta, investita della questione, ha osservato come “correttamente il giudice a quo ha ritenuto preclusa, in una controversia orizzontale, la strada della non applicazione di una norma nazionale che istituisce un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta” e ha pertanto concluso per l’ammissibilità della censura sollevata dal rimettente in relazione alla violazione dell’art. 1, paragrafo 2, della Direttiva 2008/118/CE, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., censura che coinvolge implicitamente – aggiunge la Corte – “anche l’art. 11 Cost., parametro, quest’ultimo, che viene necessariamente in considerazione ogniqualvolta si assuma la contrarietà di una legge nazionale a una disposizione del diritto dell’Unione europea, rispetto alla quale operano le limitazioni di sovranità fondate su tale disposizione costituzionale, come affermato dalla costante e risalente giurisprudenza di questa Corte”.
Per questa via, la Corte Costituzionale giunge, nel merito, a ritenere fondata la questione e a dichiarare l’incostituzionalità del ridetto art. 6, dovendo “escludersi che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica rispetti il requisito della finalità specifica, dal momento che il citato art. 6, al comma 1, lettera a), prevede solo una generica destinazione del gettito dell’addizionale provinciale «in favore delle province», che trova conferma nel preambolo del d.l. n. 511 del 1988, nella quale si afferma che le misure impositive in esso previste sono rivolte ad «assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali».
Tale conclusione trova pieno conforto nella giurisprudenza di legittimità, che, nel ritenere non applicabile il suddetto art. 6 per contrasto con le menzionate direttive, ha precisato che la citata finalità non è «in grado di essere distinta dalla generica finalità di bilancio» (Cass., n. 27101 del 2019, confermata, da ultimo, da Corte di cassazione, sezione tributaria, ordinanza 11 settembre 2024, n. 24373).
Secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, peraltro, nemmeno è riscontrabile «un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione» che consiste nella riduzione dei «costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché [nella promozione della] coesione territoriale e sociale» (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 28 luglio 2020, n. 16142)”.
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