CircolariLA CORTE COSTITUZIONALE E LA CASSAZIONE SULL’ART. 58 DEL D.LGS. N. 546/1992 E SUL NUOVO REGIME DELLE PROVE DOCUMENTALI – ST. 6 2025

20/05/2025

LA CORTE COSTITUZIONALE E LA CASSAZIONE SULL’ART. 58 DEL D.LGS. N. 546/1992 E SUL NUOVO REGIME DELLE PROVE DOCUMENTALI

 

La Corte costituzionale si pronuncia sull’art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992 (e sull’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 220/2023 che dichiara incostituzionale) e, con la sentenza n. 36 del 27 marzo 2025, stabilisce che il divieto di produrre nuovi documenti in appello non può essere applicato ai giudizi instaurati in secondo grado dal 5 gennaio 2024, cioè, dall’entrata in vigore del nuovo art. 58, ma solo ai giudizi d’appello il cui primo grado sia stato instaurato dopo il 5 gennaio 2024.

Quindi, nei giudizi d’appello il cui primo grado è stato instaurato prima del 5 gennaio 2024 è ancora possibile depositare documenti nuovi in appello.

Secondo la Corte costituzionale infatti «la previsione transitoria oblitera la circostanza che nei processi iniziati in grado di appello dopo tale data, il cui primo grado sia stato incardinato nel vigore della precedente disciplina, le parti, confidando sulla facoltà loro riconosciuta dal previgente articolo 58, comma 2, di depositare documenti anche nell’eventuale processo di gravame, potrebbero averne omesso la produzione in prime cure. Infatti, nei casi in cui al momento dell’entrata in vigore della novella, i termini per le deduzioni istruttorie ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 siano già spirati, le parti non hanno la possibilità di prevenire le conseguenze dei sopravvenuti divieti probatori – e in special modo di quello assoluto ex art. 58, comma 3 – mediante un tempestivo deposito nel giudizio di primo grado».

Nessuna illegittimità costituzionale invece colpisce l’art. 58 laddove vieta di depositare in appello le notifiche dei provvedimenti impugnati o dei loro atti presupposti.

Tale ultima pronuncia della Corte costituzionale si inserisce nell’alveo del consolidato orientamento interpretativo che la Corte di Cassazione ricorda nella sua recente sentenza n. 10211 del 17 aprile 2025, secondo cui la documentazione tardivamente prodotta nel primo grado del giudizio deve ritenersi legittimamente acquisita in sede di gravame, obbligando così il giudice di secondo grado ad esaminarla.

Ciò nella vigenza della versione dell’art. 58 anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 220/2023 in cui si inserisce il caso esaminato dalla Cassazione: l’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva tardivamente prodotto sia in primo che in secondo grado la documentazione relativa alla notificazione degli atti prodromici al provvedimento impugnato, ma la Corte Suprema ha giudicato utilizzabile tale documentazione in appello: «la produzione di nuovi documenti in appello…deve avvenire…entro 20 giorni liberi antecedenti l’udienza: tuttavia, l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché…i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio…con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione».

Ma se il giudizio d’appello è stato incardinato dopo il 5 gennaio 2024 nella vigenza dunque della nuova disciplina, una simile conclusione può trovare ostacolo nella sentenza n. 36 del 2025 della Corte costituzionale che conferma la legittimità del divieto di produrre in appello le notifiche dell’atto impugnato o degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità.

Il caso sottoposto alla Corte costituzionale riguardava la tardiva costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e il conseguente tardivo deposito della notificazione degli atti presupposti del provvedimento impugnato dal contribuente. L’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva prodotto nuovamente i documenti depositati in primo grado, tra cui le notificazioni delle cartelle esattoriali, nel giudizio d’appello incardinato dopo il 5 gennaio 2024 e quindi nella vigenza del divieto di produrre gli atti di notificazione, in quanto introdotte in primo grado in modo irrituale.

La Corte costituzionale conferma la legittimità costituzionale dell’art. 58 nella parte in cui non consente la produzione in appello delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado.

Secondo la Corte costituzionale, con la nuova norma, «si è voluto…evitare che le controversie in cui si faccia questione della esistenza o della validità delle notifiche il giudizio d’appello venga instaurato al solo fine di effettuare un deposito documentale che pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio sia stato omesso in prime cure», perché «rispetto alla notificazione degli atti tributari non è configurabile, sul piano logico, né l’ipotesi in cui il documento venga ad esistenza successivamente allo spirare dei termini per le deduzioni istruttorie del giudizio di primo grado in cui si è in contestazione l’atto notificato, né quella in cui l’amministrazione venga a conoscenza della sua esistenza solo dopo che sia maturata detta preclusione. Ciò in quanto l’atto tributario produce i suoi effetti tipici per mezzo della notificazione, sicché o la notifica esiste – e quindi deve essere necessariamente conosciuta dall’amministrazione, sulla quale grava un dovere qualificato di documentazione del procedimento notificatorio e di conservazione e custodia dei relativi atti – prima che la pretesa impositiva venga azionata, oppure la stessa pretesa è da ritenersi inefficace ab origine e quindi non può essere fatta valere».

Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento (venezia@studiotosi.com).