CONTRABBANDO DOGANALE E CONFISCA PER EQUIVALENTE – CASS. PEN. N. 6309/2025
Si segnala la sentenza in epigrafe indicata, che affronta il tema dell’applicabilità della misura della confisca per equivalente in relazione ai reati di contrabbando doganale.
Sul tema, si è già avuto occasione di evidenziare – in precedente nota a commento della recente Circolare n. 28/2024 ADM, contenente chiarimenti in relazione alle novità normative introdotte in materia sanzionatoria dalle disposizioni nazionali complementari al codice doganale unionale (DNC), approvate dal d.Lgs. n. 141/2024 – che la recente riforma prevede una disciplina differenziata della confisca delle merci oggetto dell’omessa dichiarazione (articolo 78 DNC) o della dichiarazione infedele (articolo 79 DNC), a seconda che la misura venga adottata in conseguenza della commissione del reato di contrabbando ovvero dell’illecito amministrativo di contrabbando.
Ed infatti:
nel caso del reato di contrabbando, sussiste l’obbligo – ex comma 1 dell’art. 94 DNC – di procedere alla confisca delle cose impiegate per commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il profitto o il prodotto (qualora non sia possibile procedere al sequestro della merce, l’Autorità giudiziaria può disporre la confisca per equivalente);
nel caso, invece, di illecito amministrativo sanzionato a norma dell’articolo 96 DNC, la confisca disposta dall’Amministrazione può avere ad oggetto esclusivamente le merci che costituiscono l’oggetto dell’illecito, deve sempre essere preceduta dal sequestro e devono essere applicate tutte le procedure e tempistiche stabilite dal codice doganale unionale per l’esercizio del diritto ad essere ascoltati.
Orbene, la vicenda oggetto del contenzioso deciso dalla Suprema Corte di Cassazione attiene a fatti, la cui prima constatazione si colloca nell’anno 2021, ovverosia in epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma appena ricordata nonché alla preventiva novella apportata dal d.lgs n. 156 del 2022 all’allora vigente art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973 (Testo unico delle leggi in materia doganale), che ha introdotto – anche per il reato di contrabbando doganale – la possibilità di disporre la confisca per equivalente.
Segnatamente, nel caso di specie, proprio sulla scorta dei fatti constatati nel 2001 (ipotesi di contrabbando doganale), è stato emesso un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, avverso il quale la persona indagata ha presentato richiesta di riesame al competente Tribunale, da quest’ultimo rigettata con ordinanza, a sua volta impugnata con ricorso per cassazione, concluso con la sentenza di rigetto in esame.
In particolare, la principale doglianza della ricorrente per cassazione attiene alla ritenuta inapplicabilità ratione temporis della normativa che ha introdotto, anche per il reato di contrabbando doganale, la possibilità di disporre la confisca per equivalente: essa, infatti – come già osservato – è il frutto della novella apportata, ad opera del d.lgs n. 156 del 2022, all’allora vigente art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973, mentre il reato oggetto di provvisoria contestazione sarebbe stato commesso nel 2021, quindi prima della operatività della disposizione sopravvenuta.
Sul punto, la Suprema Corte effettivamente osserva che la possibilità di procedere alla confisca per equivalente, in relazione ai reati in materia di contrabbando doganale, è stata introdotta, nel nostro ordinamento penale, per effetto della modifica apportata all’art. 301, comma primo, del DPR n. 43 del 1973, quale conseguenza della entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2022, con il quale il testo del citato art. 301, comma primo, è stato interpolato con l’inserimento del seguente periodo: “Quando non è possibile procedere alla confisca delle cose di cui al periodo precedente, è ordinata la confisca di somme di danaro, beni e altre utilità per un valore equivalente, di cui il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona”.
La Corte, inoltre, chiarisce che “Essendo la confisca per equivalente una misura avente un sostanziale carattere sanzionatorio (in tale senso, fra le molte, si veda: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 10 giugno 2024, n. 23203, rv 286645) essa non è soggetta, ostando a ciò il principio generale della inefficacia retroattiva delle disposizioni sanzionatorie più afflittive, ad essere applicata rispetto a ipotesi di reato realizzatesi in epoca anteriore alla disposizione normativa che ne abbia previsto, come nel caso che interessa, la estensione anche a reati che anteriormente non la prevedevano”.
Tuttavia, lo stesso Supremo Collegio osserva che il reato oggetto di provvisoria contestazione a carico della ricorrente è un reato “permanente” (in tale senso, fra le altre, Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 ottobre 2019, n. 41139, rv 277981; Corte di cassazione, Sezione III penale, 7 maggio 2019, n. 19233, rv 275792), la cui flagranza perdura sino al momento in cui non siano stati versati i diritti di confine connessi con l’importazione delle merci recate all’interno del territorio nazionale ovvero con la cessazione dell’attività volta a consentire la circolazione sul territorio nazionale dei beni sottratti al pagamento dei diritti doganali (Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 febbraio 1986, n. 1564, rv 171943).
Conseguentemente, conclude la Corte, “poco incide, ai fini della individuazione della legge applicabile al caso concreto, determinare … quale fosse la legge vigente al momento in cui è iniziata la flagranza del reato, essendo ius receptum il principio secondo il quale, in caso di successione di leggi penali nel tempo, deve essere applicata, laddove si tratti di reato permanente, quella vigente al momento della cessazione della permanenza anche nel caso in cui questa preveda un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello stabilito dalla normativa vigente al momento dell’inizio della condotta criminosa (in tale senso, si veda, ad exemplum, inter aliis: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 12 dicembre 2016, n. 52546, rv 268684)”.
Inoltre – precisa ancora la Corte – è irrilevante, quanto alla fattispecie sub judice, “la circostanza che, per effetto della entrata in vigore del recentissimo d.lgs n. 141 del 2024, recante “Disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi” il più volte citato art. 301 del d.lgs n. 43 del 1973 sia stato abrogato, unitamente alla restante parte del citato testo legislativo, a decorrere dalla scorso 4 ottobre 2024, dall’art. 8, comma 1, lettera t), del dlgs n. 141 del 2024, atteso che la disposizione afferente alla doverosa confiscabilità, fra l’altro, del corpo del reato nei reati di contrabbando è stata sostituita, con piene continuità testuale e pertanto anche normativa, dall’art. 94 dell’allegato 1 al citato d.lgs n. 141 del 2024”.
In definitiva, quindi, il Supremo Collegio rigetta il ricorso, non avendo la ricorrente dimostrato – e neppure prospettato – “la cessazione della permanenza del reato in provvisoria contestazione in un memento anteriore alla data di sopravvenuta vigenza della normativa legittimante la confisca per equivalente, anche in relazione alla detta tipologia di reato”.
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