LA NUOVA NOZIONE DI RESIDENZA DELLE PERSONE FISICHE: IL PROBLEMA DEGLI SMART WORKER
Con il D.Lgs. n. 209/2023 il legislatore ha compiuto un passo nell’attuazione della legge delega n. 111/2023, con cui è stato chiesto di rivedere il sistema tributario, al fine di renderlo maggiore coerente con i principi dell’Unione europea, dell’OCSE e delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.
L’articolo 3, comma 1, lett. c), della L. n. 111/2023, invero, ha delegato il Governo a riformare anche la «disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche … al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le Convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina … dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia anche valutando la possibilità di adeguarla all’esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile».
Conseguentemente, il citato D.Lgs. n. 209/2023 ha modificato la definizione di residenza delle persone fisiche ai fini delle imposte sui redditi, contenuta nell’art. 2 del TUIR.
Tale disposizione stabilisce ora che «si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti».
Per effetto della modifica normativa, dunque, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, conteggiando anche le frazioni di giorno: hanno la residenza, ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato; hanno il domicilio, nel territorio dello Stato, inteso come luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona; sono presenti nel territorio dello Stato.
Si tratta di tre criteri alternativi, sicché è sufficiente che solamente uno venga realizzato per la maggior parte del periodo d’imposta e, per quel periodo d’imposta, il contribuente sarà considerato fiscalmente residente in Italia.
Diversamente da quanto accadeva in passato, invece, l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente costituisce una presunzione relativa di residenza in Italia, che può essere superata dal contribuente fornendo prova contraria.
Orbene, la nuova norma solleva una serie di criticità, che in parte sono state affrontate dalla circolare n. 20/2024.
Particolarmente delicata, per esempio, è la posizione dei soggetti stranieri che trascorrono lunghi periodi di tempo in Italia in smart working e che mantengono la loro residenza ed il loro domicilio all’estero.
Ebbene, sul punto la circolare afferma che «la permanenza in Italia del lavoratore in smart working per 183 (o 184, in caso di anno bisestile) giorni determina, di per sé, la residenza fiscale nel nostro Paese».
Tale conseguenza, apparentemente molto rigida, va comunque opportunamente bilanciata alla luce della convenzione bilaterale eventualmente stipulata tra l’Italia ed il Paese di residenza del lavoratore.
Le convenzioni stipulate dall’Italia, infatti, prevedono una serie di tie breaker rule “progressive” (abitazione permanente, centro di interessi vitali, soggiorno abituale, nazionalità) che, in deroga alla normativa interna, potrebbero condurre a negare che il contribuente possa essere considerato fiscalmente residente in Italia.
È perciò opportuno che lo smart worker che proviene dall’estero valuti attentamente i tempi di sua permanenza in Italia ed il contenuto dell’eventuale Convenzione bilaterale stipulata dall’Italia con il Paese di sua residenza.
Lo Studio è a disposizione per maggiori informazioni. (contatti)