NewsIL PRINCIPIO DEL RISPETTO DEI DIRITTI DELLA DIFESA OBBLIGA L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA A METTERE TEMPESTIVAMENTE A DISPOSIZIONE DEL CONTRIBUENTE I DOCUMENTI CONTENUTI NEI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI E/O PENALI RIGUARDANTI I SUOI FORNITORI

14/02/2020

Con la sentenza del 16 ottobre 2019, nella causa Glencore Agriculture Hungary Kft (C-189/18), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha fissato alcuni importanti principi in materia di garanzie per il contribuente. La Corte è stata chiamata a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Tribunale ammnistrativo e del lavoro di Budapest (Ungheria) nell’ambito di una controversia tra la Glencore Agriculture Hungary Kft (di seguito, Glencore) e l’Amministrazione finanziaria ungherese. A seguito di controllo fiscale presso la Glencore, l’Amministrazione finanziaria ungherese concludeva che la predetta società aveva illegittimamente detratto l’IVA negli anni 2010 e 2011 in quanto sapeva o avrebbe dovuto sapere che le operazioni poste in essere con alcuni dei suoi fornitori si iscrivevano in una frode all’IVA. In particolare, il recupero dell’IVA era basato su provvedimenti amministrativi adottati nei confronti di taluni fornitori della Glencore ed anche su procedimenti penali a carico di alcuni di tali fornitori (ancora pendenti nel momento in cui sono state adottati i due provvedimenti poi contestati). Stando alle motivazioni contenute negli atti impugnati dalla società, i funzionari fiscali che hanno svolto l’attività di verifica nei confronti della Glencore hanno avuto – direttamente o indirettamente – accesso ai documenti contenuti sia nel fascicolo penale che nel fascicolo ammnistrativo dei fornitori sottoposti a procedimento penale. In base ad alcuni degli elementi di prova raccolti nei predetti procedimenti, l’Amministrazione finanziaria ha quindi contestato la partecipazione (passiva) di Glencore all’evasione fiscale asseritamente posta in essere da alcuni suoi fornitori. Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria non aveva messo a disposizione della Glencore il fascicolo relativo ai controlli effettuati presso tali fornitori (ossia, i documenti raccolti ed i verbali redatti), limitandosi a comunicargliene solo una parte, da essa selezionata secondo propri criteri, e senza produrre alcuna documentazione.

La parte più rilevante della decisione in commento riguarda gli irrimediabili effetti derivanti dal mancato rispetto, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei diritti della difesa nel caso di controllo fiscale del contribuente basato su informazioni e documenti acquisiti nell’ambito di procedimenti amministrativi e/o penali a carico di taluni suoi fornitori. Preliminarmente la Corte di Giustizia ricorda che tra i diritti garantiti dall’Unione Europea vi è il rispetto dei diritti della difesa il quale, per consolidata giurisprudenza unionale, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione finanziaria decida di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio. In merito alla questione sottoposta, la Corte adita ha affermato quanto segue: «Il principio del rispetto dei diritti della difesa ha così come corollario il diritto di accesso al fascicolo» (punto 51); «Poiché il destinatario di una decisione che arreca pregiudizio deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata … l’accesso al fascicolo deve essere autorizzato nel corso del procedimento amministrativo. Quindi, una violazione del diritto di accesso al fascicolo intervenuta durante il procedimento amministrativo non è sanata dal semplice fatto che l’accesso a quest’ultimo è stato reso possibile nel corso del procedimento giurisdizionale relativo ad un eventuale ricorso diretto all’annullamento della decisione [amministrativa] contestata» (punto 52); «Inoltre, come ha rilevato l’avvocato generale nei paragrafi 59 e 60 delle sue conclusioni, si deve anche consentire al soggetto passivo di accedere ai documenti che non servono direttamente a fondare la decisione dell’amministrazione finanziaria, ma possono essere utili per l’esercizio dei diritti della difesa, in particolare agli elementi a discarico che tale amministrazione ha potuto raccogliere (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, UBS Europe e a., C‑358/16, EU:C:2018:715, punto 66 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 54); «Non soddisfa tale requisito una prassi dell’amministrazione finanziaria consistente nel non dare al soggetto passivo interessato alcun accesso a tali elementi e, in particolare, ai documenti su cui si fondano le constatazioni effettuate, ai verbali redatti e alle decisioni adottate in esito a procedimenti amministrativi collegati, e nel comunicargli indirettamente, sotto forma di sintesi, solo una parte di tali elementi da essa selezionati secondo criteri che le sono propri e sui quali egli non può esercitare alcun controllo» (punto 58). Il pieno rispetto dell’esercizio dei diritti della difesa, dunque, impone all’Amministrazione finanziaria – prima dell’adozione di un atto pregiudizievole – di mettere a disposizione del contribuente, destinatario del provvedimento impositivo, il fascicolo relativo al controllo effettuato presso il suo fornitore (vale a dire i documenti su cui si fondano le contestazioni, i verbali redatti e le decisioni assunte), non potendo assolutamente essere tollerata la prassi secondo cui l’Amministrazione si limita a comunicare indirettamente, per estratto, al contribuente soltanto una parte degli elementi raccolti nell’ambito del procedimento amministrativo e/o penale nei confronti del fornitore. Ma soprattutto, con un ulteriore passo in avanti, la Corte di Giustizia sancisce che l’Amministrazione finanziaria non può sanare la violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa, tramite la semplice produzione della documentazione (id est verbali redatti a carico del fornitore) nel corso del procedimento giurisdizionale, avente ad oggetto il ricorso proposto dal contribuente per ottenere l’annullamento dell’atto impositivo.

Sulla scorta di quanto sopra esposto, si deve concludere che, nei casi di pretese fondate su comportamenti fraudolenti asseritamente commessi da soggetti terzi, l’Amministrazione finanziaria dovrà ora obbligatoriamente mettere a disposizione del contribuente accertato tutti, ma proprio tutti, gli atti e documenti – anche se derivanti da procedimenti penali pendenti – che hanno fondato le contestazioni mosse nei confronti di tali soggetti. Solo in questo modo, infatti, viene garantito al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa. Inoltre la motivazione dell’avviso accertamento impugnato non potrà più essere integrata nel corso del giudizio tramite deposito della documentazione riferita agli altri soggetti terzi e non allegata all’atto notificato al contribuente. Pertanto, d’ora in aventi, i Giudici nazionali dovrebbero pronunciare l’annullamento totale dei provvedimenti impugnati dai contribuenti, ogniqualvolta gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate pretendono di motivare gli atti impositivi, limitandosi a sintetizzare in essi alcuni degli elementi indiziari raccolti nel corso dell’attività di verifica fiscale condotta nei confronti dei fornitori (magari allegando soltanto alcune pagine del processo verbale di constatazione redatto a carico dei fornitori stessi). Anche l’eventuale successiva produzione in giudizio dei processi verbali di constatazione dei fornitori da parte dell’Ufficio resistente, diretta ad integrare la motivazione dell’atto, dovrà essere censurata dai Giudici, dato che tale condotta processuale non può sanare la palese violazione dei diritti di difesa del contribuente.

Va ricordato che, per giurisprudenza costante della Corte costituzionale, «le statuizioni della Corte di Giustizia delle Comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni (sentenze n. 389 del 1989 e n. 113 del 1985)» (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 284 del 2007). I Giudici nazionali sono quindi vincolati ad applicare i principi contenuti nelle sentenze pronunciate dalla Corte di Giustizia. Pertanto, alla luce di tale importante arresto della Corte di Giustizia, ci si augura che, in futuro, la Suprema Corte di Cassazione modifichi radicalmente il suo consolidato orientamento, secondo cui «l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale» (si veda tra le più recenti, Corte di Cassazione, sentenza 29 novembre 2019, n. 31252). Sul punto, si registra il primo recepimento del suddetto principio unionale da parte della giurisprudenza di merito. Il riferimento è alla sentenza n. 266/2/19 del 13 novembre 2019, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, richiamando appunto la sentenza 16 ottobre 2019 emessa dalla Corte di Giustizia nella causa C-189/18, ha affermato che «se ora si fa applicazione di questo principio alla fattispecie concreta dedotta in giudizio non può che conseguirne l’annullamento degli atti impugnati per quanto riguarda il rilievo riferentesi all’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, posto che il p.v.c. notificato alla Ricorrente faceva riferimento a p.v.c. redatti a carico dei suoi fornitori pacificamente, del tutto, a Lei ignoti; né vale l’obiezione dell’Agenzia secondo cui nel p.v.c. notificatoLe sarebbero stati riportati i passi salienti dei p.v.c. notificati ai fornitori, posto che la Ricorrente aveva diritto, a tutela del proprio diritto di difesa, a prendere visone dei documenti nella loro integrità e completezza onde consentirLe un controllo sull’uso, “non malizioso”, degli stessi, da parte dell’Agenzia». Infine, a conferma dell’assoluta importanza della sentenza in rassegna, si sottolinea che in tre recentissime ordinanze interlocutorie (n. 494 del 14 gennaio 2020, n. 1029 e n. 1030 del 17 gennaio 2020), la Corte Suprema di Cassazione (Sezione sesta civile – Sottosezione T) ha osservato che, «alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 16 ottobre 2019, nella causa C-189/18, invocata nella memoria depositata nella controversia non si profila l’evidenza decisoria», rimettendo le controversie alla Sezione quinta della Cassazione.

In conclusione, qualora gli Uffici finanziari non permettano al contribuente di esaminare – sin dalla fase amministrativa di formazione dell’atto impositivo – tutti i documenti del fascicolo riguardante il controllo fiscale, l’accertamento dovrà essere oggetto di censura preliminare per violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa e del diritto a un processo equo garantito dall’art. 41 della Carta. D’altra parte, come efficacemente enunciato al punto 65 delle conclusioni presentate dall’Avvocato generale Michael Bobek nella causa C-189/18, «È infatti della massima importanza che il soggetto passivo sia in grado di «posare gli occhi» sui documenti originali, qualora lo desideri».

 

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Dott. Comm. Massimo Biancon (massimobiancon@studiotosi.com