NewsLE INDAGINI FINANZIARIE – L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DEVE PROVARE CHE IL CONTO CORRENTE INTESTATO AL TERZO È RICONDUCIBILE AL CONTRIBUENTE ACCERTATO

15/04/2020
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Le indagini finanziarie rappresentano uno degli strumenti utilizzati dal Fisco per contrastare l’evasione fiscale.

L’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 sancisce, infatti, che i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 383940 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili».

Analoga previsione è presente in ambito IVA (art. 51, comma 2, n. 2 del D.P.R. n. 633 del 1972), dove, però, non c’è alcun riferimento ai prelevamenti.

In sostanza, in ambito tributario, vige una presunzione legale relativa, in virtù della quale per l’Amministrazione finanziaria è sufficiente individuare i versamenti e i prelevamenti che si presume non trovino riscontro nella contabilità; il contribuente, invece, deve fornire la prova contraria e, dunque, deve dimostrare che il movimento è transitato nelle scritture contabili ovvero che è fiscalmente irrilevante.

Si segnala che tale presunzione non può operare per i prelevamenti di importo giornaliero inferiore a € 1.000 e comunque al di sotto di € 5.000 mensili.

Le indagini finanziarie possono inoltre estendersi a conti correnti di soggetti terzi.

La Corte di Cassazione, però, a più riprese, ha stabilito che l’Amministrazione deve dimostrare l’intestazione fittizia del conto o, comunque, la sostanziale riferibilità, al contribuente accertato, del conto intestato al terzo o di singoli dati o elementi di esso e solo laddove tale onere sia stato assolto, allora può operare il meccanismo presuntivo poc’anzi citato.

Nell’ambito di questo filone si inserisce la recente sentenza n. 33596 del 18 dicembre 2019, in cui i Giudici di legittimità hanno anzitutto ricordato che «sia l’art. 51 DPR 633/1972, sia l’art. 32 n. 7 DPR n. 600/1973, autorizzano l’Ufficio a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, quando sussista ragione di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti».

La Corte ha, poi, proseguito affermando che «solo se vi è la dimostrazione della concreta riferibilità delle movimentazioni bancarie alle operazioni societarie trova applicazione l’art. 32, comma 1, n. 2 e 7, DPR n. 600 del 1973, che, attribuendo all’ufficio delle imposte il potere di procedere a accertamenti bancari, prevede espressamente una presunzione legale a carico del contribuente, ciò che comporta una vera e propria inversione dell’onere della prova in forza della quale egli è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e dimostrare che gli stessi sono estranei al reddito non essendo a lui di fatto riferibili, senza che rilevi, in senso contrario, la regolarità formale della documentazione aziendale».

Tant’è che nel caso sottoposto al vaglio dei Giudici (si trattava di un avviso di accertamento notificato ad una srl, in cui l’Agenzia delle Entrate aveva accertato dei maggiori ricavi sulla base degli accrediti e degli addebiti presenti sui conti correnti dei soci), essi hanno cassato la sentenza di secondo grado, in quanto «Il giudice di appello … consentendo l’utilizzazione a fini probatori delle movimentazioni dei conti correnti dei soci, per accertare maggiori redditi societari, senza valutare la sussistenza di elementi indiziari che facessero emergere la riferibilità alla società dei conti dei soci, è incorsa in violazione di legge ed ha omesso di esaminare tale fatto decisivo».

Dunque, l’Amministrazione finanziaria può avviare delle indagini finanziarie su conti correnti bancari formalmente intestati a soggetti terzi, a condizione che dimostri che le movimentazioni siano effettivamente riconducibili alle operazioni societarie.

Peraltro, si segnala che la stessa Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 32 del 198 ottobre 2006, aveva chiarito che spetta all’Ufficio dimostrare «che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è “fittizia o comunque è superata”, in relazione alle circostanze del caso concreto».

La pronuncia della Corte di Cassazione fornisce, pertanto, un importante elemento di difesa, nell’ambito di accertamenti scaturenti da indagini finanziarie.

 

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Dott. Comm. Laura Soldà (laurasolda@studiotosi.com)