Si segala l’Ordinanza in epigrafe segnata, con la quale la Sezione Tributaria della Suprema Corte ha ritenuto di dover sottoporre alle Sezioni Unite la questione della legittimità della confisca disposta in relazione al reato di cui all’art. 282 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in seguito all’emanazione del d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8, il quale, in attuazione dell’art. 1, ha depenalizzato i reati puniti con la sola pena pecuniaria della multa e dell’ammenda e, tra questi, i reati di contrabbando c.d. «semplice».
Nel caso concreto, in particolare, era stata accertata la violazione della normativa doganale di cui all’art. 282 del d.P.R. n. 43 del 1973 e dell’art.70 del d.P.R. n. 633 del 1972 e s.m.i., per cui la Dogana aveva proceduto al sequestro di un dipinto quale corpo del reato, essendo stati omessi la prescritta dichiarazione doganale ed il pagamento dell’Iva all’importazione. A seguito della trasmissione degli atti del procedimento penale all’Amministrazione finanziaria per l’intervenuta depenalizzazione – introdotta appunto con d.lgs. n. 8 del 2016 – del reato di contrabbando da penale ad amministrativo ed in considerazione del disposto dall’Autorità Giudiziaria, la Dogana aveva provveduto all’emissione del verbale di constatazione e sequestro in via amministrativa e, con successivo provvedimento, aveva disposto la confisca del dipinto ai sensi degli artt. 295 bis, comma 3 e 301 T.U.L.D.
Il contribuente aveva provveduto all’impugnazione del provvedimento di confisca avanti la competente Commissione tributaria, la quale, però, lo aveva rigettato, ritenendo che le violazioni in materia di Iva all’importazione comportavano la confisca obbligatoria della merce introdotta in Italia ai sensi dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, richiamato dall’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 e che, anche a seguito della depenalizzazione, era prevista l’applicabilità della confisca quale sanzione accessoria alle ipotesi di contrabbando semplice.
La Commissione tributaria regionale, adita dal contribuente, ha accolto invece l’appello, annullando il provvedimento di confisca, ritenendo che, nel caso in esame, si fosse in presenza di una vera e propria abrogazione tacita della confisca ex art 295 bis T.U.L.D. per l’ipotesi del contrabbando semplice, in forza del principio «ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit», tanto più che il legislatore, con il d.lgs n. 8 del 2016, aveva depenalizzato il reato di contrabbando e non aveva previsto sanzioni accessorie, con una precisa scelta esternata nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 8 del 2016, ove si legge che non si era ritenuta praticabile la soluzione di comminare sanzioni accessorie per illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione cosiddetta «cieca», in quanto sarebbe stata necessaria una disposizione altrettanto generale di conversione delle (eventuali) originarie pene accessorie.
La Dogana, quindi, ha proposto gravame avanti la Suprema Corte, la quale ha pronunciato l’Ordinanza interlocutoria in esame, osservando che “con il decreto legislativo n. 8 del 2016, il Governo ha adottato la tecnica legislativa della depenalizzazione generale cosiddetta «cieca» (art. 1 della legge delega 28 aprile 2014, n. 67) per tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa e dell’ammenda (con esclusione dei reati del codice penale) e la tecnica della depenalizzazione cosiddetta «nominativa» di talune fattispecie di reato espressamente previste (art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67). Tra i delitti che prevedono la sola sanzione della multa, per l’appunto, vi sono i reati di contrabbando c.d. «semplice» di cui al d.P.R. n. 43 del 1973. Secondo il sistema sanzionatorio previgente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 8 del 2016, le evasioni più lievi alla normativa doganale, al di sotto dei 4.000,00 euro di imposta di confine evasa, sono sanzionate amministrativamente, mentre al di sopra di tale soglia costituiscono delitti sanzionati con una multa proporzionata da due a dieci volte l’imposta evasa. Sono, poi, circostanze aggravanti l’evasione superiore ai 50.000,00 euro, che prevede l’arresto sino a tre anni, ovvero la commissione, anche disgiunta, dei fatti a mano armata, da tre o più persone con ostacolo alle attività di accertamento, con connessione a reati contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione ovvero nell’ambito di un’associazione a delinquere, che prevedono la reclusione da tre a cinque anni. Con il decreto legislativo n. 8 del 2016 … l’ipotesi aggravata, prevista dall’art. 295 del d.P.R. n. 43 del 1973 viene qualificata fattispecie autonoma di reato e la multa, la cui misura era proporzionata ad un importo compreso tra due e dieci volte l’imposta di confine evasa, è stata sostituita con una sanzione pecuniaria amministrativa da 5.000,00 euro a 50.000,00 euro. Il legislatore, dunque, avendo previsto una sanzione pecuniaria amministrativa a compasso edittale e non più una sanzione pecuniaria amministrativa proporzionale con la determinazione della somma da pagare attraverso un meccanismo automatico collegato al danno obiettivo cagionato all’erario, ha introdotto un trattamento più favorevole soprattutto con riferimento alla fascia più alta delle violazioni amministrative”.
In questo contesto, continua la Corte “un profilo di coerenza sistematica dell’attuale sistema repressivo delle violazioni doganali, emerge anche con specifico riguardo alle misure di sicurezza di natura reale, che più specificamente rilevano in questa sede, dato che la confisca penale doganale è stata sostituita con la confisca amministrativa di cui all’art. 20, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, che ha carattere facoltativo ed è applicabile solo per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 euro ed i 49.999,99 euro, mentre il legislatore – che ha depenalizzato il contrabbando di lieve entità al di sotto dei 4.000,00 euro – ha espressamente mantenuto la confisca obbligatoria delle cose indicate nell’articolo 301 del T.U.L.D., il cui provvedimento è adottato non dall’autorità giudiziaria, ma dal capo della dogana nella cui circoscrizione la violazione è stata accertata, con il conseguente «corollario» che mentre per le ipotesi già depenalizzate di reato di contrabbando al di sotto dei 4.000,00 rimane applicabile la confisca di cui all’art. 301 del T.U.L.D., per le ipotesi di contrabbando, pure depenalizzate, comprese tra i 4.000,00 euro e i 49.999,99 euro, si applica (per l’espresso richiamo previsto nell’art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016) la confisca amministrativa di cui all’art. 20, terzo comma, della legge n. 689 del 1981”.
Tanto osservato, la Corte ha quindi rilevato che, con il termine «confisca», al di là del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative di diversa natura, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso termine viene utilizzato e la dottrina ha evidenziato come sia difficile il compito di ricondurre l’istituto della confisca nel rigido schema della «misura di sicurezza patrimoniale» o ancora in quello di «misura sanzionatoria» o ancora in quello «ibrido» sospeso tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo.
Ed infatti, la confisca ex art. 240 cod. pen. contempla una forma facoltativa di sequestro (delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto od il profitto, con accertamento in concreto, in queste ipotesi, della pericolosità della cosa, operato dal giudice in rapporto alla persona che la possiede) e una forma obbligatoria (nei confronti delle cose che costituirono il prezzo del reato e delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato).
La confisca doganale, regolata dall’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, per converso, è obbligatoria anche per le cose oggetto del reato o che comunque servirono o furono destinate a commetterlo, estendendo, dunque, la presunzione di pericolosità sottostante alla misura di sicurezza reale anche nei confronti delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto ed il profitto: trattasi di un’ipotesi di confisca obbligatoria per il reato di contrabbando, avente ad oggetto le cose che sono legate al reato da un vincolo di pertinenzialità e consegue alla pericolosità della cosa (e non alla pericolosità del condannato), quando essa è prezzo, prodotto o profitto del reato o è servita o fu destinata a commettere il reato. Ed infatti, la stessa Corte, a tal riguardo, ha avuto modo di affermare che “la confisca obbligatoria in questione non ha natura sanzionatoria, ma costituisce, piuttosto, misura di sicurezza tendente ad evitare l’ulteriore impiego o circolazione di beni segnati da illiceità, e, quindi, trova la propria ragion d’essere in una valutazione del legislatore non incentrata sulla necessità di sanzionare l’autore del reato” (Cass. pen., 7 luglio 2021, n. 25765).
La confisca amministrativa regolata dall’art. 20, comma terzo, della legge n. 689 del 1981, è, invece, facoltativa ed è applicabile, “in relazione al dato letterale desumibile dall’art. 70, comma primo, del d.P.R. n. 633 del 1972, che dispone il rinvio alle sanzioni previste dalle leggi doganali sui diritti di confine, solo per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 ed i 49.999,99 euro, ciò che sembrerebbe contrastare con i principi cardine del sistema sanzionatorio amministrativo e penale”.
Proprio in ragione della diversa natura che può assumere il provvedimento di «confisca», il Collegio ha ritenuto necessario interessare le Sezioni Unite affinché possano valutare la legittimità della confisca disposta in relazione al reato di cui all’art. 282 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in seguito all’emanazione del d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8.
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